Una bicicletta, se ben vissuta, può costellarsi di simboli che rimandano alla tua vita anche senza che ci si disegni un Tao sopra una delle ruote. E’ sufficiente, come si vedrà, cambiare un copertone.
Perché persino Firenze è tappezzata di questi cartelloni, che confermano un aspetto delle mie vicende toscane. +BICI -> + BACI, e nella negazione che mi ha perseguitato – BACI -> –BICI (anche se preferisco pensare, ora che la bici sembra andare, che sia stato (la non corretta negazione) –BICI -> – BACI)
Ma voglio anche raccontare una storia, per cui partirò dal principio, ovvero da una bicicletta, la mia, che fu portata in terra d’Etruria dalla pianura Padana. Probabilmente sconvolta dalla traversata appenninica (fatta in tutta comodità sul dorso di una jeep) si ritrovò tremante e spaurita nel parcheggio della stazione di Santa Maria Novella, e per la prima volta trascorse la notte senza un tetto che la proteggesse.Grande era la mia soddisfazione di avere un sellino sotto il mio sedere, e per inaugurare la stagione, mi ero anche permesso una serie di aggiustamenti e riparazioni. Ma l’idillio d’amore dovette finire presto, bastò una settimana e una singola passeggiata che la ruota anteriore scomparve misteriosamente, lasciandomi di fronte ad un corpo martoriato. Un nuovo aspetto della mia personalità veniva fuori, come da un Bruce Wayne bimbo fuori dal teatro dell’opera. Per la prima volta mi accorgevo di tante altre bici, nella condizione della mia o peggio; mi aggiravo tra carcasse di Grazielle, mountain bike sventrate, lucchetti divelti e tagliati. Firenze divenne per i miei sogni di ciclista città corrotta, che ostentava un impegno ipocritamente clicloamabile, ma che mirava unicamente alla tua catena, al tuo campanello.
Scelsi allora nella notte tra i resti di altri sfortunati una nuova ruota, come per riportare una speranza: questa ruota, scintillante, nuova, giaceva solitaria separata dal resto del telaio, ormai sottratto.
Ma non durò che una settimana, così come altre mie vicende, si sgonfiò nella notte. E i miei tentativi di rivitalizazione cadevano sempre nella sgonfio totale. Dovevo sostituire la camera d’aria: e per mesi fu il mio passatempo abituale.
Sette camere d’aria sostituite, sette vite sprecate. Sarebbe bello raccontare le loro storie una per una, come in uno spettacolo della memoria, ripercorrere i metri di ghiaia percorsi, le svolte e le curve e l’esatto momento in cui come per una depressione post-moderna, perdevano la grinta, e si abbandonavano in un lento declino sgonfiante.
Purtroppo la mia incapacità nel leggere nell’animo umano si riflette nella difficoltà di comprendere cosa può passare per la testa di una gomma, per cui, in quel periodo, trovavo le più diverse giustificazioni, tentavo gli appropriati rimedi, ma inesorabilmente la gomma si sgonfiava.
A tutto questo si sommava la sfortuna criminale di una città che si approfitta di una bicicletta in sosta nella notte ai margini di una piazza. Campanello divelto, fili elettrici strappati, cartacce e una ruota deformata: l’acredine con cui la notte si accaniva sulla mia bici poteva essere un’ottima ragione alla depressione gommifera, tuttavia divenne una mia depressione. Sentivo infatti l’incapacità di risolvere un problema (semplice) fosse specchio di incapacità ben più importanti.
La risoluzione sembra essersi profilata qualche giorno fa, con la sostituzione del copertone originale con uno nuovo bianco. Si badi bene che è il colore che conta in questo caso: accordandosi con il mutamento, come vuole la tradizione cinese, la mia bici è ora un segno del mio cambiamento. Il bianco e nero (yin e yang) si stanno schierando stranamente anche sul mio mento.
E nel temporaneo accordo raggiunto tra gli opposti ora posso vedere il tempo che scorre come la strada sotto le mie pedalate. Nel movimento da sopra un sellino la città si fa più piccola, più uniforme, e riscopro il senso del viaggiare. Si avvicina il momento di una pedalata un po’ più lunga, e probabilmente questa bici non mi seguirà.. ma mi sento un poco meno sbandato: come si sa, se prendi velocità, è più difficile cadere.
A dimostrazione della serenità raggiunta dagli elementi delle mio ciclo, oggi, in un vagare casuale tra le colline fiorentine, probabilmente guidato da uno spirito, la mia bici si è fermata qui, davanti al santuario del Ciclismo, e non ha voluto proseguire (giuro).
Ha un senso tutto questo? Credo di si, o per lo meno ce lo ha per me, e tornerò in questo santuario, prima di partire, per lasciarci un poco della mia bici. O della mia vita.
p.s.
ovviamente ora è la ruota di dietro che si sgonfia
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